I luoghi della memoria | Il libro della memoria | I personaggi della memoria
I LUOGHI DELLA MEMORIA
Ci sono dei luoghi che spesso acquisiscono dei significati particolari nella vita delle persone, perché suscitano il ricordo di fatti, che in genere risalgono ad altri tempi e ad altre circostanze, ma con i quali permane un certo legame. Uno di questi luoghi è ciò che resta a Mantova della Chiesa di S. Domenico, e cioè la sua torre, visibile ancor oggi a lato di via Pescheria; essa è l’unico residuo di un edificio urbano ben più vasto, che sorgeva sul Lungorio IV Novembre.
Perché è un luogo della memoria e per chi? Dobbiamo tornare agli anni che vanno dal 1540 al 1583 quando nella nostra città e nella nostra provincia si assistette ad un risveglio di natura spirituale legato alla scoperta, alla lettura e alla divulgazione della Bibbia. Il libro era allora proibito e inaccessibile alla popolazione, ma era divenuto il fondamento della rivoluzione spirituale nei paesi d’oltralpe, particolarmente in Germania, dove, tradotta nella lingua corrente, aveva riportato la gente alle origini del Vangelo, alla bruciatura della bolla papale da parte di Martin Lutero e alla emanazione nel 1517 delle sue 95 tesi appese alla porta della chiesa del castello di Wittemberg.
Nella nostra città e nella nostra provincia la Bibbia venne introdotta di nascosto dai commercianti che avevano rapporti di affari con i paesi d’oltralpe.
Veniva letta di nascosto in tutta la provincia, dove, secondo le grida del 24.3.1541 emesse dal cardinale Ercole Gonzaga, signore pro tempore del ducato, “molti disputano e ragionano della podestà del pontefice, delle pitture dei santi, del digiuno, della confessione, del libero arbitrio, della predestinazione, del purgatorio e di molte altre cose, delle quali a loro non tocca di disputare, avendo essi solamente di stare cheti ai precetti, comandamenti e declarazioni della santissima Romana chiesa”.
Poiché la diffusione a livello popolare delle idee che minavano alla radice i fondamenti della chiesa romana non era certamente un fatto irrilevante, iniziò a Mantova una vasta opera di estirpazione di tali idee mediante la “Santa Inquisizione” che durò per molti anni e culminò nei processi che partendo dal 1567 durarono fino al 1583.
Il luogo dove venivano interrogati e torturati gli arrestati, e da cui partivano in processione per il patibolo, era appunto il convento d S. Domenico: a centinaia venivano ammanettati e ammucchiati cittadini che non avevano altra colpa che aver osato risalire alle origini della fede cristiana attraverso la lettura della Bibbia, come avevano già fatto altri popoli europei . Le carceri del convento non bastarono più per cui ne furono costruite delle nuove. Nel cortile della prigione venivano portati ed esposti sopra un palco i condannati a morte che subivano la pena del rogo, preferendo una estrema coerenza alla loro fede che un atto di abiura che avrebbe loro risparmiato la vita.
Quel convento era stato eretto nel secolo XIII e fu sede per circa 5 secoli di attività inquisitori ali anche di natura politica.
Oggi resta solo la torre dopo la demolizione di tutta la struttura conventuale e della chiesa effettuata negli anni 1925-1926; è una testimonianza di tutti coloro, e furono tanti anche tra gli ecclesiastici, che nella seconda metà del 1500 scoprirono i veri fondamenti della fede che emergono dalla Bibbia e che ancora oggi animano con la stessa freschezza gli evangelici mantovani che hanno raccolto quella eredità spirituale: sola Scrittura, sola Grazia, Sola Fede, solo Cristo, solo a Dio la Gloria.
Piazza Erbe a Mantova è sicuramente uno dei luoghi più conosciuti della città per il rilievo che ha avuto nel corso della storia del ducato di Mantova. Molti sono i fatti accaduti in questa piazza contornata da altrettanti palazzi grondanti di storia. Probabilmente però c’è una parte di storia importante che non è stata sufficientemente ricordata.
Proprio in questa piazza, infatti, nacque l’ “Accademia Scartozzesca”, fondata da Giovan Francesco Anselmini, detto lo Scartoccio, proprietario di una spezieria situata appunto in piazza Erbe.
Il 3.6.1567, all’una di notte, l’Anselmini venne arrestato e portato nel convento di S. Domenico per essere interrogato dalla Inquisizione. Che cosa stava succedendo nella nostra città?
Erano ormai alcuni anni che le idee evangeliche provenienti dalla Germania e dalla Svizzera avevano attecchito in molti strati sociali della popolazione, senza eccezioni: si andava dai “rudes” ai nobili e alla stessa casa dei Gonzaga, come testimoniò il processo del 1567 a Endimio Calandra, segretario del duca Guglielmo Gonzaga.
Le idee della Riforma protestante tedesca poterono penetrare nel ducato mantovano soprattutto attraverso libri proibiti che venivano introdotti nel ducato attraverso la straordinaria mobilità degli artigiani e dei commercianti, i quali avevano frequenti traffici con i paesi d’oltralpe. Il ducato divenne uno dei poli più importanti della diffusione di tali idee e fu considerato uno dei più pericolosi da parte della curia Romana tanto che introdusse il Tribunale della Inquisizione.
A Mantova, numerosissimi erano gli artigiani riuniti nelle varie corporazioni: quelle della lana, dei berrettai, setaioli, sarti, orefici, speziali. La città era posta al centro della pianura padana e i traffici con le città di Cremona, Verona, Bologna, Ferrara e Modena, centri del dissenso religioso, erano molto frequenti.
Non solo. Il seme della riforma evangelica era stato gettato negli anni precedenti anche da famosi predicatori che erano passati per Mantova, tutti provenienti dalle file ecclesiastiche, specialmente francescani e agostiniani, come Benedetto Locamo, Bernardino Ochino, Andrea Ghetti e Costantino da Carrara.
Tutti costoro erano predicatori della giustificazione gratuita per fede e non per opere, così come la Bibbia insegna nella lettera ai Romani, ai Galati, in Ebrei e in tutta la letteratura neotestamentaria. Verità che molti alti ecclesiastici, addirittura cardinali, prima del concilio di Trento, stavano accogliendo con favore. Idee che, naturalmente, minavano alla radice l’impianto sacramentale della Chiesa romana, la quale stava perdendo influenza in nazioni intere dell’Europa e che corse ai ripari dovunque coi metodi più spietati.
Per fare un esempio lo stesso cardinale Ercole Gonzaga fu, almeno in un primo tempo, amico di famosi propugnatori delle idee evangeliche, come Valdes, Vermigli e lo stesso Ochino che era passato per Mantova nella sua fuga dalla Inquisizione Romana, fuga favorita dallo stesso Ercole Gonzaga.
Ebbene, di queste “novità” si discuteva nell’ Accademia Scartozzesca in Piazza delle Erbe, insieme ad altri argomenti come l’autorità del papa, la inutilità delle indulgenze, la inesistenza del purgatorio, la blasfema adorazione dei santi e delle immagini, la sufficienza della grazia, la predestinaZIOne.
Insieme a Giovanni Anselmini venne arrestato anche il fratello, il canonico Ludovico Anselmini a maggior dimòstrazione della penetrazione delle idee evangeliche. Tali dottrine sono ancora oggi in assoluta contrapposizione con ciò che è stato propugnato con il Giubileo 2000: non è cambiato nulla nella sostanza.
A Mantova sì parlava spesso dell’ Accademia Scartozzesca di piazza delle Erbe: oggi per gli evangelici mantovani resta un richiamo forte a mantenere e rafforzare una eredità spirituale preziosa che si può riassumere nel motto della Riforma: sola Scrittura, sola Grazia, sola Fede, solo Cristo, solo a Dio la Gloria.
IL LIBRO DELLA MEMORIA
Nel 1543 venne stampato per la prima volta a Venezia un libriccino, con le dimensioni di cm l OX7, che ebbe una vastissima diffusione in Italia e all’estero, essendo stato tradotto in diverse lingue e ristampato in edizioni plurime. Il titolo era “Il beneficio di Cristo” e l’autore, allora ignoto, era un monaco negro chiamato don Benedetto Fontanini da Mantova, consacrato tale nell’abbazia di S. Benedetto in Polirone nel 1511, assieme a Teofilo Folengo (Martin Cocai). Da qui il frate passò, come decano, a S. Giorgio Maggiore di Venezia e quindi nel 1537 fu trasferito nel monastero di S. Niccolò l’Arena di Catania. Rimase quivi 5 anni ed ebbe occasione di soggiornare nel Monastero di S. Martino delle Scale, dove incontrò di nuovo Teofilo Folengo, poeta mantovano, col quale aveva intessuto una buona amicizia e una notevole comunione spirituale durante il noviziato nell’ abbazia mantovana. Fu proprio durante questo periodo siciliano che il frate compose il “Beneficio di Cristo”. Successivamente venne trasferito a S. Maria di Pomposa dove fu rettore dal 1544 al 1546. Nel 1548 subì un processo per eresia, dal quale si salvò per le prerogative che erano concesse all’ordine dei benedettini e che consentivano di evitare i rigori dell’Inquisizione. Fu comunque tenuto prigioniero per un certo periodo nel monastero di S. Giustina di Padova per i provvedimenti presi dal suo Ordine e infine ritornò nel 1555 a San Benedetto (Mantova) nel monastero da cui era partito, ma retrocesso nella sue funzioni. Sfuggono alla indagine storica le ultime vicende della sua vita. Se non che il suo confratello e poeta Teofilo Folengo, detto Martin Cocai, venne a sua volta indagato per sospetta eresia e costretto ad un periodo di penitenza nel 1538. Come mai un frate piuttosto modesto come il Fontanini attirava tante attenzioni? Dobbiamo qui accennare agli eventi di quei tempi. L’anno 1542 segna infatti la fine del sogno di un rinnovamento della chiesa cattolica sulla base della riscoperta della Bibbia e dei suoi principi, fatto che nei paesi d’oltralpe aveva portato intere nazioni a staccarsi dalla chiesa di Roma. In Italia alcuni estimatori della dottrina della giustificazione per fede, tanto proclamata da Martin Lutero, tentarono di sollecitare la chiesa ad una riforma interna, riconoscendo le basi bibliche di tale dottrina e quindi un terreno adatto per tentare una ricucitura con le chiese protestanti, altrimenti impraticabile. Tra questi ottimisti si annoveravano il cardinale inglese Reginald Pole, l’abate benedettino Gregorio Cortese, il cardinale Gaspare Contarini , i quali avevano scoperto il valore della grazia divina e della giustificazione del peccatore per sola fede nell’opera di Cristo e avevano il coraggio di affermare: ” .. .il fondamento dell’ edificio dei luterani è verissimo, né per alcun modo dovremmo dirgli contro, ma accettarlo come vero e cattolico, come fondamento della religione cristiana”. Il cardinale Pole nei colloqui di Ratisbona coi luterani del 1541 fu strenuo difensore di tale dottrina, avversata in modo vigoroso daIl’ ala cattolica più intransigente. I colloqui fallirono e iniziò la controriforma nel 1542 con Paolo III che istituÌ il tribunale della Inquisizione e pose fine alle discussioni nelle scuole teologiche, università, accademie, e quindi ad una certa predicazione, ai contatti con i circoli cattolici progressisti. Fu redatto anche il Catalogo dei libri proibiti, nel quale figurò naturalmente anche il “Beneficio di Cristo”. Il Contarini fu accusato di eresia e morì a Bologna, ivi relegato dalla curia romana. Nel 1546 iniziava il Concilio di Trento e nello stesso anno venne fatta la ristampa del “Beneficio di Cristo”, che ormai aveva conquistato molti cuori.
E fu proprio la condanna senza appello da parte di uno dei più importanti controversisti cattolici che bollò il “maligno libretto” come intriso di opera luterana, melantoniana, buceriana e calviniana, che portò ad una sistematica caccia del libretto da parte della Inquisizione. In molte piazze italiane il libriccino venne dato alla fiamme fino alla sua totale scomparsa.
Che cosa vuole comunicare il “dolce libriccino” come qualcuno lo chiamò? “Celebrare e magnificare, secondo le nostre piccole forze, il beneficio stupendo che ha ricevuto il cristiano da Gesù Cristo
crocifisso, e dimostrare che la fede per se stessa giustifica, cioè che Dio riceve per giusti tutti quelli che veramente credono che Gesù Cristo abbia soddisfatto i loro peccati; benché siccome la luce non è separabile dalla fiamma che per sé sola brucia, cosÌ le buone opere non si possono separare dalla fede che per sé sola giustifica” cosÌ recita alla fine il libriccino. Era una rivoluzione religiosa e culturale: le opere di per sé non conducono alla salvezza ma solo la fede in Gesù Cristo che non è venuto al mondo per dare un esempio morale ma per assumere su di sé il castigo che Dio ha preparato per gli uomini, essendo tutti peccatori, sostituendosi ai colpevoli e prendendo su di sé la condanna di Dio per loro. Tutti gli uomini sono trasgressori della legge di Dio e tutti cadranno sotto il suo terribile giudizio. Solo coloro che, compunti da Dio, credono che il sacrificio di Cristo sia la sola salvezza da questa giusta ira di Dio, sono gli eletti che vengono liberati dal giudizio e passano dalla condanna alla gloria. Nessuna religione, nessuna opera possono diventare una merce di scambio con Dio, nessuno potrà vantare meriti davanti a Dio nel giorno del giudizio. Nessuno sforzo dell’uomo sarà accettato da Dio. Egli accetterà solo l’opera che Lui stesso ha preparato come prezzo di riscatto e cioè il sacrificio di Suo Figlio: l’uomo se ne appropria attraverso la fede in ciò che Cristo ha fatto per lui e … nient’ altro. La chiesa viene dunque privata di quegli strumenti della Grazia che fanno parte della propria liturgia e che sarebbero dalla stessa amministrati. Unico strumento è la sola fede nell’opera di un altro. Tutta l’impalcatura cattolica dei meriti viene rovesciata dalle fondamenta. Per queste idee venne convocato il Concilio di Trento: per dare i più robusti puntelli a quella fragile impalcatura che minacciava di crollare. Infatti il Concilio formulò una definizione della giustificazione dell’uomo davanti a Dio come frutto della grazia di Dio ma con l’aggiunta della cooperazione umana attraverso le opere, riconfermando tutto il valore della iniziativa umana nel meritare la propria salvezza, e quindi degli strumenti della chiesa per favorire tale scopo. Era e rimane l’esatto opposto di ciò che dichiarava il “Beneficio di Cristo” attingendo dalla Bibbia stessa.
L’Inquisizione si rese ben conto della radicalità del libretto che toglieva tutto il potere non solo temporale ma spirituale alla chiesa romana ed entro pochi decenni distrusse il libretto.
Non sarà irrilevante notare che l’editore del libro fu Giulia Gonzaga, proveniente dal nobile casato mantovano, la quale aveva aderito alla dottrina della giustificazione per sola fede e che molto probabilmente aveva incontrato il Fontanini a Napoli, durante una sosta che questi aveva fatto in quella città. La Gonzaga era anche parente dell’ autore in quanto il fratello di costui, Angelo Fontanini, aveva sposato Margherita Gonzaga.
Nel 1855 venne ritrovata una copia della edizione del 1543 presso la biblioteca del Saint John’s College di Cambridge e ciò fu considerato un evento culturale straordinario. Seguì una pubblicazione in inglese dopo il ritrovamento e quindi nuove edizioni in lingua italiana, tedesca, francese, olandese, spagnola. Il libretto contribuì al Revival inglese nella seconda metà dell’ ottocento nonché in quello luterano in Germania, e quindi anche in Italia. Infatti nel 1860 il conte Piero Guicciardini, fondatore a Firenze di una comunità evangelica libera, curò una edizione italiana; in seguito nel 1942 uscì un’ altra edizione a cura di un pastore valdese di un ex sacerdote cattolico, scomunicato e perseguitato, e infine nel 1975 una prima edizione della editrice Claudiana di Torino cui seguì una seconda aggiornata nel 1991.
Nonostante il tentativo di far tacere per sempre la sua voce, il “dolce libriccino” parla ancora del beneficio di Cristo che non è altro che la grazia di Cristo e cioè il dono immeritato della vita eterna a favore di tutti coloro che credono in Lui.
I PERSONAGGI DELLA MEMORIA
Giulia Gonzaga Colonna nacque presumibilmente nel 1513 nel castello di Gazzuolo, da Lodovico Gonzaga, conte di Rodigo e signore di Sabbioneta. Sposò, tredicenne, per volere della famiglia, Vespasiano Colonna, duca di Traietto e conte di Fondi, divenendo cosÌ contessa. Era il 1528, diciassette mesi dopo il matrimonio, quando Giulia rimase vedova e senza prole. La società corrottissima del suo tempo rimase sbalordita per la sua castità, e la sua bellezza fu oggetto di esaltazione anche da parte di molti poeti. Basti ricordare Lodovico Ariosto, che nell’ultima edizione dell’Orlando Furioso, le dedicò quattro versi. Quando aveva soli 22 anni iniziò a sentirsi disorientata a causa di diversi avvenimenti funesti. Il mondo intorno a lei non era certo un punto di riferimento per trovare conforto: tremende sciagure avevano trasformato l’Italia con guerre disastrose, la gente si trovava in pessime condizioni di vita, inoltre non esistevano guide morali. Un gruppo di riformisti romani, sotto la guida di Vittoria Colonna, propugnava un rinnovamento radicale all’interno della Chiesa cattolica con il ritorno ai principi evangelici dei primi secoli e una forte riscoperta del valore della Bibbia. Questo gruppo, avendo saputo della situazione di Giulia, mandò ad incontrarla un funzionario della segreteria dell’imperatore Carlo, Juan del Valdes che, a causa delle sue idee religiose, era fuggito in Italia per sottrarsi alla Inquisizione in Spagna. Fu un incontro molto importante per Giulia perché fu condotta a rivedere tutta la sua vita alla luce del Vangelo di Gesù Cristo. Giulia decise quindi di stabilirsi a Napoli e di unirsi al movimento, che quivi si era formato, nella ricerca della vera fede. Lei stessa fondò un circolo, dove si insegnavano i principi valdesiani e, dopo breve tempo, questo centro vide la partecipazione di uomini di cultura nonchè di ecclesiastici: uno di questi fu il famoso canonico Pietro Camesecchi che, più tardi, sarà giustiziato dalla Inquisizione della Controriforma, pur essendo stato assolto in un primo processo. I capi di accusa furono diversi, ma il più importante fu quello di aver diffuso la dottrina della giustificazione dell’uomo davanti a Dio per sola fede nell’opera di Gesù Cristo, dottrina che Giulia aveva abbracciato con forza. L’anno 1542 fu decisivo dopo il fallimento dell’ultimo tentativo di conciliazione tra la Chiesa romana e le Chiese protestanti, nell’ incontro avuto tra i vari rappresentanti, a Ratisbona, nel 1541. L’iniziativa passò al partito cattolico intransigente, guidato dal cardinale Carafa, il quale istituì la congregazione del Santo Ufficio e il tribunale della Santa Inquisizione romana, sul modello di quella spagnola, che da 60 anni, mandava al rogo eretici o presunti tali. Il Valdes, nel frattempo, era morto di morte naturale e per il suo movimento a Napoli iniziò il tempo della paura e della persecuzione. Giulia avrebbe potuto mettersi in salvo tornando a Sabbioneta, nel mantovano, dove la sua famiglia si era da tempo stabilita, ma non ci pensò un momento e risolutamente si mise a capo del movimento al posto del maestro scomparso, dedicandosi completamente all’ apostolato evangelico ed alla guida della comunità. Giulia aveva subìto un cambiamento radicale: nel momento del pericolo, l’ allieva, incerta e un po’ nevrotica, diventò la saggia interprete della dottrina valdesiana. Fece di tutto, anche attraverso le amicizie e simpatie che godeva ancora, per ostacolare le inchieste della Inquisizione e per sottrarre all’arresto i fratelli in fede ricercati. Aveva costituito una rete di solidarietà per salvare coloro che erano più compromessi: la fuga di questi era organizzata attraverso i feudi colonnesi, lo Stato della Chiesa, Ferrara, il Veneto, la risalita del Po, poi l’attraversamento delle Alpi verso Stati che avevano aderito alla Riforma. Ma l’opera più originale di Giulia fu quella editoriale: nessuna donna si era mai cimentata prima in un’ opera così difficile e pericolosa, perché nel 1542 vigeva il controllo ecclesiastico sulla stampa e più tardi, nel 1559, fu istituito anche l’indice dei libri proibiti. Nonostante questo, pubblicò il “Beneficio di Cristo” di frate Benedetto Fontanini, monaco benedettino dell’abbazia di S. Benedetto in Polirone. Il tema centrale del libro era la certezza del perdono di Dio mediante la fede in Gesù Cristo. Il frate, le cui idee minavano alla base tutto l’impianto sacramentale della Chiesa romana, fu trasferito a Catania, ma, passando per Napoli, venne in contatto con gli ambienti valdesiani.
Il libro ebbe un successo strepitoso: vennero pubblicate 40.000 copie e fu l’opera più diffusa in quel secolo dopo la Bibbia. Il trattato, in cui si trovava l’eco dei più antichi Padri della Chiesa, venne accolto con interesse da tutti i ceti: prelati favorevoli alla riconciliazione con i riformatori oltre le Alpi, come i cardinali Pole e Contarini, curie, monasteri, nobili e popolani. La caccia e la distruzione sistematica di questo libro furono uno dei compiti più impegnativi della Inquisizione che conseguì un pieno successo: non si salvò una copia in tutta Italia, rimasero solo pochi esemplari nelle biblioteche europee. Giulia continuò la pubblicazione anche di altri testi, simili per contenuto, per altri 20 anni fin verso la fine del Concilio tridentino. Quest’ultimo si era aperto nel 1545 sotto la pressione di Carlo V estesa sia sul Papa che sui protestanti per la ricerca di un accordo. Durò 18 anni, tormentati ed inconcludenti, suscitando grandi speranze di rinnovamento e atroci delusioni. Giulia, tra speranze e delusioni, aveva consumato un terzo della sua vita durante quel Concilio. Si sentiva incoraggiata da altri circoli, che erano sorti in Italia e che operavano ormai di nascosto. Nomi prestigiosi appartenevano a questi circoli, ai quali mostrò il proprio favore, pur nella sua grande riservatezza, Michelangelo Buonarroti. Anche l’amicizia segreta di cardinali e vescovi, alcuni dei quali partecipanti al Concilio, era motivo di incoraggiamento. Giulia viveva in una grande sofferenza interiore: tanti seguaci venivano giustiziati nel frattempo, altri dispersi. Pur tuttavia continuava a lottare sorretta in modo speciale dalla fede in Dio. Il suo nome ormai veniva fatto ricorrente mente dagli indiziati sottoposti a tortura nei processi svolti a Napoli, Roma e Padova. Le cose peggiorarono con l’inizio della Controriforma, un regime teologico-ecclesiastico in contrasto con la dottrina evangelica. L’Inquisizione era arrivata al suo culmine e gli appoggi esterni a Giulia erano venuti di fatto a cessare. Giulia era stanca e malata: tanti dispiaceri, una febbrile attività, 30 anni di lotte l’avevano consumata. Nel suo testamento raccomanderà se stessa a Dio e a Gesù Cristo con una formula molto semplice. Morì dopo circa un anno senza smentire mai la fede che aveva conosciuto. Intorno a lei i roghi di Pio V sterminarono quelli che venivano definiti eretici.
Saputo che Giulia stava morendo, Pio V volle infamarne la memoria, facendo perquisire il convento dove si era rifugiata e reperendo tutte le carte. Tutto fu sottoposto alla Inquisizione: i manoscritti, il carteggio con i nomi di tanti illustri personaggi, le lettere. Osservando quegli scritti il Papa si arrabbiò molto ed esclamò che se la Gonzaga fosse stata ancora viva l’avrebbe mandata al rogo. Tutti gli scritti trovati furono distrutti e si lavorò perché la sua memoria finisse nel nulla. Ma la dottrina della giustificazione per sola fede, divulgata in Italia anche grazie a Giulia Gonzaga per la sua opera di editrice, non si spense, anzi danneggiò la Chiesa romana più del famoso “sacco”: migliaia di italiani, provenienti in gran parte dagli ambienti ecclesiastici, alcuni con mansioni di grosso rilievo, accolsero tale dottrina e contribuirono, all’estero, alla sua diffusione: il “sola fede” insieme a “sola Scrittura”, “sola Grazia”, “solo Cristo”, “solo a Dio la gloria” furono i cardini della riforma protestante l?asata sulla riscoperta della Bibbia. Non sono idee superate: di quei principi gli evangelici mantovani si sentono eredi e a quei principi rimandano le persone affinchè si ravvedano come fece Giulia; infatti, come si legge nella lettera di Paolo ai Romani, “tutti hanno peccato e sono privi della Gloria di Dio”, poiché “per le opere della legge nessuno sarà giustificato”, anzi, “tutto il mondo è sottoposto al giudizio di Dio”: ma coloro che hanno “fede in Gesù Cristo sono giustificati gratuitamente per la sua grazia”. E’ per questo che la fede biblica in Cristo di Giulia Gonzaga Colonna parla ancora e indica che il cammino della fede, pur essendo impervio, vale la pena di essere intrapreso. In questo cammino si possono superare tutte le difficoltà che si incontrano, sorretti non dalle proprie energie, ma dalla Grazia di Dio che opera potentemente nei credenti. Non c’è altra possibile spiegazione alla costanza con cui Giulia affrontò le più forti opposizioni “tenendo gli occhi su Gesù .. .il quale per la gioia che gli era posta davanti soffrì la croce disprezzando il vituperio .. ” (dalla lettera agli Ebrei).